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                          Casa (Fotolia)

Durante il suo discorso programmatico di quasi 50 minuti al Senato, il presidente del Consiglio Mario Monti ha dichiarato che ''l'esenzione dell'Ici delle abitazioni principali costituisce nel confronto internazionale una peculiarità, se non vogliamo chiamarla anomalia, del nostro ordinamento tributario''.

La reintroduzione dell'Ici era già stata ipotizzata dal precedente ministro del Tesoro, Giulio Tremonti. In uno dei suoi ultimi atti ufficiali, Tremonti aveva informato l'Europa che "nulla pregiudica la possibilità di adottare un nuovo provvedimento che modifichi il quadro legislativo. L'aumento del gettito fiscale ottenibile con la reintroduzione dell'Ici sulle prime case è di circa 3,5 miliardi".
La Commissione europea aveva esplicitamente chiesto all'Italia se stesse valutando una reintroduzione dell'Ici sulla prima casa, abolita nel 2008 per tutti ad eccezione dei proprietari di ville, case di lusso e castelli.
Per Morgan Stanley invece la reintroduzione dell'Ici è una scelta quasi obbligata. Secondo quanto riportato daFinanza.com, la ricchezza delle famiglie italiane ammonta a circa 8,7 mila miliardi di euro, la più alta nel G7, di cui 3,6 mila miliardi in asset finanziari e il resto in asset reali. Con queste cifre, secondo gli analisti di Morgan Stanley è improbabile che una tassa sulla ricchezza — per quanto più socialmente equa - serva a raccogliere più che pochi miliardi per il risanamento del bilancio del BelPaese. Per essere efficace, una simile misura dovrebbe essere accompagnata dalla reintroduzione dell'Ici. A rimpolpare le casse, secondo gli esperti della banca statunitense, servirà inoltre la cessione degli asset governativi (valore stimato in circa 812 miliardi di euro, di cui monetizzabili 240 miliardi), come anche l'aumento dell'Iva.



Alle Canarie l'isola che nasce in diretta



Proprio in questi giorni, al largo delle Isole Canarie, in pieno Oceano Atlantico, sta nascendo una nuova isola: l'incredibile spettacolo è offerto da un vulcano sottomarino nei pressi dell'Isola di El Hierro, la più piccola dell'arcipelago, che sta eruttando magma con già da qualche tempo. 
L'acqua sopra la sua bocca ribolle da giorni e la forza esplosiva dell'eruzione ha lanciato polvere e detriti fino a 20 metri di altezza sopra la superficie del mare.
La colata di lava si sta accumulando velocemente lungo le pendici del vulcano e la sua  altezza aumenta un giorno dopo l'altro: la sua sommità è ora a soli 70 metri di profondità e i geologi sono convinti che se l'eruzione continuerà con questi ritmi, nel giro di poco l'arcipelago delle canarie si arricchirà di un nuovo isolotto. 
Ma se per il resto del mondo la nascita in diretta di una nuova isola è uno spettacolo affascinante, per gli abitanti dei El Hierro la situazione è un po' diversa: qualche giorno fa l'isola è stata scossa da un terremoto di magnitudo 4.3 , tutte le case sono state evacuate e la navigazione nella zona vulcanica è stata proibita.
L'intensità dell'eruzione e delle scosse di terremoto continue (più di 10.000 negli ultimi 4 mesi) fanno temere la formazione di uno tsunami.
Secondo Juan Carlos Carrecedo, vulcanologo spagnolo intervistato da un quotidiano inglese, "c'è una palla di magma che sta salendo verso la superficie e che sta causando una serie di spaccature che a loro volta sono responsabili dell'attività sismica: non sappiamo ancora se questa palla riuscirà a liberarsi verso l'esterno causando una grande eruzione".

Iraq, Obama: «Tutte le truppea casa per Capodanno»





Barack Obama parla di crisi
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha oggi annunciato solennemente che «dopo quasi nove anni, la guerra americana in Iraq sarà conclusa entro il 2011», quando «tutti i soldati americani torneranno a casa». In questo modo, Obama, come egli stesso ha sottolineato, mantiene la promessa fatta in campagna elettorale di mettere fine all'impopolare conflitto in Iraq, ma soprattutto chiude un controverso capitolo di storia, aprendo una fase in cui da gennaio, come ha detto, Stati Uniti e Iraq avvieranno «un normale rapporto tra due Stati sovrani, una partnership paritaria, basata su rispetto e interessi reciproci».
Chiudendo una guerra costata la vita a circa 120 mila persone, di cui oltre 4.400 americani, oltre a circa mille miliardi di dollari, Obama fa però anche una scommessa dagli esiti ancora incerti. Se infatti dopo il ritiro dei 39 mila soldati Usa ancora in Iraq le violenze continueranno a divampare, o addirittura a peggiorare, saranno in molti a puntare il dito contro di lui. Il fronte repubblicano ha già iniziato ad ammonire in tal senso.

Sin da quando è stata avviata la discussione con Baghdad su quante truppe Usa debbano rimanere per addestrare le forze di sicurezza irachene. Nelle settimane scorse, si è parlato di una cifra compresa tra i 3.000 e i 5.000 soldati. Numeri che secondo alcuni influenti senatori repubblicani, come John McCain e Lindsay Graham e l'indipendente Joe Lieberman, «metterebbero a rischio tutto ciò per cui gli Usa hanno combattuto in Iraq» e sarebbero «drammaticamente inferiori a quanto i nostri leader militari ci hanno detto ... di aver bisogno per sostenere l'Iraq».

Il generale Lloyd Austin III, comandante delle forze Usa in Iraq, vorrebbe che rimanessero a sua disposizione tra i 14 e i 18 mila soldati. Ma evidentemente su questo non c'è stato alcun accordo tra Washington e Baghdad. In maniera vaga, Obama ha detto di aver parlato proprio oggi con il premier iracheno Nuri al Maliki e di aver concordato che «continueremo le discussioni su come possiamo aiutare l'Iraq ad addestrare ed equipaggiare le proprie truppe». Ma la posizione di al Maliki per trattare l'argomento è alquanto difficile: uno dei suoi importanti alleati, il leader sciita radicale Moqtada Sadr, ha sempre invocato il ritiro totale delle forze americane dall'Iraq. Solo di recente Sadr è sembrato ammorbidire la sua posizione, ma non di molto: l'addestramento delle forze irachene da parte degli americani sarà possibile, ha detto, «solo in base ad un nuovo accordo, quando il ritiro sarà stato completato, e dopo che il popolo iracheno oppresso sarà stato finanziariamente compensato».

Altre componenti politiche irachene, come i sunniti e i curdi, vedrebbero invece con favore una protratta permanenza dei soldati Usa specie dopo una recente ennesima ondata di sanguinosi attentati in varie zone del Paese e in particolare a Baghdad, tesa con ogni probabilità a dimostrare che le forze irachene non sono ancora in grado di gestire la sicurezza del Paese.

Non a caso, Obama ha oggi previsto che «ci sono ancora giorni difficili in arrivo per l'Iraq», ma ha aggiunto che «gli Stati Uniti continueranno ad avere interesse per un Iraq che sia stabile, sicuro e autosufficente».




Atene, i giovani comunisticaricano gli incappucciati




grecia atene scontri 20 ottobre
Ancora scontri in piazza davanti al Parlamento ad Atene, nel primo pomeriggio i feriti sono almeno 40, ma i giovani del servizio d'ordine del partito comunista, appoggiati da altri manifestanti, hanno duramente caricato gli incappucciati mettendoli in fuga nei giardini di piazza Syntagma. Lanci d'agenzia parlano di una manovra di accerchiamento congiunta tra agenti e comunisti. Gli incappucciati hanno quasi tutti maschere anti-gas e zainetti dai quali estraggono petardi e bombe incendiarie.

La folla dei manifestanti pacifici è tornata a gremire completamente la piazza ateniese di Syntagma, davanti al Parlamento, svuotatasi in seguito ai violenti scontri tra circa 200 giovani incappucciati e membri del servizio d'ordine del partito comunista di Grecia che li hanno presi a bastonate, allontanandoli. Secondo radio locali, sulla piazza ci sono adesso oltre 30.000 persone che sventolano striscioni e scandiscono slogan contro le nuove misure di austerity che in queste ore il Parlamento si accinge ad approvare.

Sono già oltre una quarantina i feriti di oggi, 20 ottobre. I feriti sono tutti civili e fra di loro ci sono sia alcuni giovani incappucciati sia membri del servizio d'ordine del partito comunista e del sindacato comunista Pame con i quali si sono scontrati. Al momento non risultano poliziotti feriti.

BOZZA, PEGGIORAMENTO PIL COMPLICA SFORZI 
Il «deterioramento» delle condizioni economiche della Grecia renderà più difficile adottare le politiche richieste per il salvataggio. Ma «una veloce decisione sul secondo programma di aiuti potrebbe ridurre le incertezze». È lo riporta una bozza sulle valutazioni della 'troika' su Atene diffusa dall'Ansa. 



Mr.Apple, esce biografia autorizzata Jobs senza filtro su amici e 


nemici

steve jobs box apple
"A Steve non piace passare il tempo a esaminare disegni complessi. Vuole vedere i modelli, vuole 'sentirli'": ecco un frammento della testimonianza di Jonathan Ive, il motore creativo della Apple, una delle tante raccolte da Walter Isaacson, 59 anni, attuale direttore dell'Aspen Institute, ex presidente di Cnn e giornalista del Time, che hanno contribuito a raccontare il geniale e visionario guru della Silicon Valley nella biografia 'Steve Jobs', in uscita in tutto il mondo il 24 ottobre. E' un libro molto atteso da tempo perché e l'unica biografia autorizzata da Jobs che ha permesso ad Isaacson più di quaranta colloqui personali e più di cento interviste a familiari, amici, rivali e colleghi. Il tutto raccolto in 600 pagine. In Italia il libro è pubblicato da Arnoldo Mondadori (negli Stati Uniti da Simon & Schuster che ha deciso di anticipare l'uscita dal 21 novembre al 24 ottobre) e costa 20 euro. In copertina c'è una delle più celebri foto in bianco e nero di Steve Jobs, quella messa dal sito della Apple, il giorno della sua morte, il 5 ottobre 2011.


"Quando era in salute e si recava in ufficio, quasi ogni giorno Jobs pranzava insieme ad Ive, per poi passare il pomeriggio in giro per lo studio. Appena entrato dava un'occhiata ai tavoli, seguiva il flusso dei prodotti lungo il loro percorso, saggiava la loro consonanza con l'indirizzo strategico della Apple e toccava con mano l'evoluzione del design di ciascuno di essi. In genere i due erano soli", racconta Isaacson nel libro, portando non a caso l'attenzione su Ive, che secondo molti raccoglie l'eredità visionaria di Steve Jobs. Nel libro Isaacson descrive anche la fucina delle idee Apple il luogo dove si è realizzata per 15 anni la sinergia tra Ive e Jobs e sono nate tante creature come l'iPod, l'iPhone e l'iPad: "Uno spoglio ambiente industriale, con un arredo grigio metallo. Dall'esterno le foglie degli alberi proiettano sulle finestre scure mutevoli giochi d'ombra e luce. In sottofondo musica techno e jazz". Ovviamente, lo studio di design situato nel campus Apple "é protetto da vetri scuri e da una massiccia porta blindata ben serrata. L'accesso è proibito alla maggior parte dei dipendenti Apple".


La particolarità di questa biografia, non è solo la ricchezza del contenuto e delle testimonianze ma il fatto che Steve Jobs, notoriamente pignolo, perfezionista e maniaco del controllo, non abbia imposto nessun vincolo sul testo né preteso di leggerlo prima della pubblicazione. E non ha posto alcun filtro, incoraggiando anzi i suoi conoscenti, familiari e rivali a raccontare onestamente tutta la verità. Lui stesso parla candidamente e talvolta in maniera brutale, dei colleghi, degli amici e dei nemici, i quali, a loro volta, ne svelano le passioni, il perfezionismo, la maestria, la magia diabolica e l'ossessione per il controllo che hanno caratterizzato il suo approccio al business e i geniali prodotti che ha creato. Lo stesso Ive, che viveva in simbiosi con lui "ha provato una certa irritazione - scrive Isaacson - per la tendenza di Jobs ad accaparrarsi meriti eccessivi, un atteggiamento che negli anni ha infastidito diversi colleghi". "Steve - ha raccontato Ive al giornalista - è capace di passare in rassegna le mie idee e sentenziare: questa non va, questa non è granché, questa mi piace. Poi, quando sei in riunione, lo senti parlare di quell'idea come se fosse sua. Io presto un'attenzione maniacale alla fonte di un'idea. Le annoto persino, le mie idee. Perciò quando lui si prende il merito di uno dei miei progetti la cosa mi dà fastidio". Ive ammette però che le idee che provengono da lui e dal suo team "sarebbero state completamente irrilevanti e non avrebbero portato da nessuna parte, se non ci fosse stato Steve a spronarci, a lavorare con noi e a superare tutti gli ostacoli che si opponevano alla trasformazione di quelle idee in prodotti". Il libro è stato voluto dallo stesso Jobs, lo ha raccontato di recente Isaacson sul Time, per lasciare un ricordo ai suoi figli. "Volevo che i miei ragazzi mi conoscessero - ha detto il papà della Apple -. Non sono stato sempre presente. Volevo che sapessero perché e che capissero cosa ho fatto". Ed è un libro che va letto come il testamento intellettuale e spirituale che Steve Jobs lascia al mondo intero.